L'ANTICA QUERCIA DI AROLA
Conoscere la storia di un albero, di un albero secolare come quello di Arola, è cosa abbastanza rara. Capita più spesso che qualcuno di essi sia noto per essere stato testimone di avvenimenti della storia o del mito. Si pensi alla quercia del Tasso o al caprifico di Omero. Dell'annoso esemplare di Arola, 'o Cierco 'e Sant'Andulino, sappiamo la storia dall'inizio alla fine.
È la storia di un legame stretto fra la natura dei luoghi, spesso avara, e la vita degli uomini, sempre dura. Una storia che sconfina nella leggenda per entrare nella tradizione popolare.
A raccontarla è Gioacchino Caiazzo, testimone e memoria antica della borgata collinare. Eccola:
In quel tempo l'acqua era pochissima nella zona, c'erano le cisterne che raccoglievano quella piovana e c'erano rare sorgenti. Sant'Antonino scendeva da Faito in un giorno di grande calura. A Moiano nessuno gli diede da bere, a Ticciano nun bbevette, a Preazzano neppure. Ad Arola, invece, incontrò una vecchietta che lo dissetò; ella aveva appena raccolto nella sua langella le poche stille che colavano da una fenditura. Il monaco bevve e versò la poca acqua rimasta sulle ghiande che nel frattempo aveva seminato nelle buche fatte con la punta del bastone. Il disappunto della donna, che vedeva sprecata così la preziosa acqua raccolta con tanta pazienza, fu evidente e il monaco la notò. Grato e riconoscente la rassicurò:
- Non temere, le disse, ora riempirai presto la tua langella perchè l'acqua sarà abbondante.
E così fu. L'acqua iniziò a scrosciare copiosa e fresca dalla fenditura della roccia.
- Benedico questo posto dove l'acqua non mancherà mai.
Da quel giorno ad Arola le sorgenti si moltiplicarono con grande sollievo della popolazione.
La notizia di quel prodigio passò dì bocca in bocca e si diffuse fra la gente del villaggio. Da quelle ghiande seminate uscirono tanti germogli, molte quercie crebbero, una di esse sopravvisse e divenne simbolo di venerazione.
Per antica tradizione i contadini formavano con le sue frasche folte ghirlande per offrirle, in processione, a Sant'Antonino e, nel primo giorno di maggio, a monsignore l'arcivescovo. Giunti a Sorrento gli ambiti ramoscelli venivano donati ai fedeli che li conservavano nelle loro case fra le cose più sacre e più care.
La corteccia, furtivamente grattata dal fusto, minutamente triturata coi germogli, veniva raccolta in impasti per decotti e cataplasmi buoni per curare malanni gravi o più blande indigestioni, di anziani e bambini.
Dalla lucida e fresca memoria di Gioacchino emergono i ricordi avuti dagli avi e le mai sopite immagini della fanciullezza. Egli racconta di quando, ragazzino, coi suoi compagni di giochi penetrava nello scabro, gigantesco, fusto. Risalendo dalle radici affioranti verso la ramatura, si affacciava dalle larghe occhiaie perforate dai secoli. Egli ricorda quel tempo in cui, curioso, seguiva le festose comitive dei gitanti domenicali che dal piano, risalendo il rivo Lavinola, si recavano presso la quercia in devoto pellegrinaggio.
Tutti insieme godendo, sotto la rigogliosa chioma, la silente frescura e l'atmosfera magica del luogo. Prima di ripartire ciascuno non trascurava di asportare una piccola scheggia della corteccia per tenerla con se con tanto amore. Era, Sant'Antonino, un gran Santo! Più volte era disceso dal suo eremitaggio sull'altopiano equano per confortare gli afflitti, per aiutare i deboli, per curare i malati.
Un giorno percorrendo i sentieri giù alle grottelle, seguito da una capretta che aveva ricevuto in dono, si imbattè in alcuni operai occupati a far calce presso una fornace. Beffardi e irridenti quei carcarari schernirono il frate e di soppiatto, per fargli dispetto, spinsero l'animale nella calce rovente.
- Martì, Martniè, Martnié! continuava a chiamare il povero viandante sotto lo sguardo indifferente e maligno di quei ceffi.
Ad un tratto Martina saltò fuori dalle pietre roventi e, più vispa e gioiosa di prima, corse incontro al suo compagno ed insieme ripresero il cammino.
Era, Sant'Antonino, un gran Santo!
Ora la grande quercia ad Arola non c'è più; sbattuta dal vento, squassata dai temporali, logorata dal tempo e dagli insetti annidati, alla fine ha ceduto.
È stata abbattuta più di quarantanni fa. Era presente il parroco Vanacore e tante altre persone. Era la fine dell'autunno, sull'ultimo ramo c'erano ancora le foglie che in molti conservarono. Gioacchino raccolse le ultime ghiande.
Al suo posto fu innalzato un monumento con la statua del Santo. Un pezzo del ramo è ancora lì, secca reliquia arborea, sotto il simulacro. Gioacchino custodì sotto le zolle quegli ultimi semi. I nuovi germogli, amorevolmente curati, divennero rigogliosi alberelli.
Di essi qualcuno, è sopravvissuto. La storia della quercia continua. Sant'Antonino rivive ad Arola.
(Da una testimonianza raccolta da A. De Angelis)